La pubblicità non funziona più!
Troppo spesso è percepita come manipolazione.
Però la pubblicità – anima del commercio – non muore, ma si evolve.
Come l’araba fenice la pubblicità risorge sempre, quando un canale diventa sterile si evolve per assumere nuove forme, si insinua nella comunicazione camuffandosi per continuare a promuovere brand e prodotti.
Ed è giusto sia così!
Il consumatore-utente è disturbato dall’invasività del messaggio pubblicitario, ma poi va alla ricerca di informazioni finalizzate all’acquisto.
La native advertising si può definire come la formula pubblicitaria della discrezione.
In wikipedia si legge:
Native advertising è una forma di advertising online che assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, cercando di generare interesse negli utenti.
L’obiettivo è riprodurre l’esperienza utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto.
Al contrario della pubblicità tradizionale che distrae il lettore dal contenuto per comunicare un messaggio di marketing, il native advertising cala completamente la pubblicità all’interno di un contesto senza interrompere l’attività degli utenti, poiché assume le medesime sembianze del contenuto, diventandone parte, amplificandone il significato e catturando l’attenzione del consumatore.
Nello specifico, il Native Advertising è un metodo pubblicitario contestuale che ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale), indicando chiaramente chi è l’inserzionista che ‘sponsorizza’ tale contenuto.
È distante dal Pubbliredazionale, che invece cerca di mascherare contenuti pubblicitari come articoli editoriali su prodotti o servizi.
In un articolo sulla prestigiosa Harvard Business Review, l’esperto di marketing Mitch Joel ha definito la Native Advertising come “un formato pubblicitario creato specificamente per un determinato media sia dal punto di vista del formato tecnico sia dal punto di vista del contenuto (la creatività)”.
L’obiettivo finale è quello di rendere l’annuncio pubblicitario meno intrusivo in modo che non interrompa la fruizione del contenuto che l’utente sta guardando, così da aumentare la percentuale di click e interazioni sull’annuncio.
I formati più noti di Native Advertising sono probabilmente i cosiddetti In-Feed Units quali i promoted tweets di Twitter o i promoted posts di Facebook.
L’approccio del Native Advertising ricorda in parte il Content marketing, anche se per quest’ultimo il fine è informativo piuttosto che promozionale in quanto prevede la creazione e condivisione di media e contenuti editoriali al fine di acquisire clienti e monetizzare un sito web.
Lo sviluppo di internet e in particolare dei social media, ha modificato profondamente il rapporto tra consumatori e brands, per i quali la tradizionale strategia di marketing, denominata interruption marketing, non è più efficace.
Un esempio di native advertising tratto dal sito LSDI.it
Purina (alimenti per cani) ha sponsorizzato un articolo su Mashable dal titolo “5 Heartwarming Stories That Prove Dog Is Man’s Best Friend” (5 storie confortanti che provano come il cane sia il miglior amico dell’ uomo), in cui non si fa mai cenno al cibo per cani.
Mashable è un sito conosciutissimo per le sue notizie di tecnologia e i suoi articoli in stile “X cose che dovete sapere, ecc.’’ e Purina ne ha approfittato.
Il pezzo racconta storie e video su cuccioli belli e commoventi; uno che ha salvato la vita ai suoi proprietari , uno che piange la morte del suo padrone, insomma, cose che prima di finire di leggere sei in lacrime e adori sempre di più il tuo cane. Questo articolo – racconta Memeburn – ha ottenuto più di 20.000 condivisioni: il che significa che Purina ha generato moltissime visualizzazioni senza mai nominare una volta cibo per cani.