Comunicare alternativo, la sfida all’io primitivo
Sarebbe bello cambiare i messaggi pubblicitari, mettere in soffitta gli stereotipi che propongono famiglie felici, donne e uomini dal fisico perfetto, persone sempre e solo ricche, anche quando chiedono un prestito …
Talvolta ho l’impressione che più la razza umana si evolve, più si rafforza il legame con l’io primitivo, in cui il branco segue per istinto e non scelta razionale il maschio alfa, identificabile con gli attuali testimonial, personaggi famosi che raccontano di scegliere un prodotto … sempre un solo prodotto, ma anche un altro e poi un altro ancora, purché non in concorrenza.
Ma, è noto: testimonial SINO a che funziona NON si cambia … quando non fa più vendere si butta.
Uscire dagli schemi, emozionare, incuriosire, proporre immagini di impatto, di quelle che scuotono, attirano l’attenzione, sconvolgono, irritano, ma convincono … noi pubblicitari lo facciamo tutti, da anni ormai, da così tanto tempo e con così tante proposte da farlo diventare banale.
Verrebbe da dire che forse è il momento di entrare negli schemi sinora poco sfruttati, e farlo per emozionare con tranquillità, proponendo un’immagine sicura, rappresentando la solidità delle proposte, per comunicare tornando alle origini dei primi messaggi pubblicitari, quando ancora non si chiamavano pubblicità.
Comunicazione di base, fatta di poche parole, ma giuste.
Immagini chiare e reali, ambienti familiari, ma non artefatti, persone vere e non più idoli e icone inventate e costruite su misura.
Puntare sulle ovvie peculiarità che contraddistinguono il quotidiano, dunque un albero con una foglia secca, una casa con un quadro storto, un viso con le rughe, un vestito un po’ spiegazzato, una ciambella con un buco non perfetto.
Lo dico, ma al tempo stesso non sono del tutto sicura di crederci, in quanto consapevole che rappresenta una sfida non solo a livello di progetti creativi, ma in particolare una sfida alle reazioni del mercato e più in generale alle percezioni socio-psicologiche che contraddistinguono il nostro tempo.
Significa lanciare una sfida all’io primitivo.
La pubblicità propone la perfezione con la classica famiglia del “Mulino Bianco” dove dopo la colazione non ci sono piatti sporchi, dove i biscotti non lasciano briciole sul pavimento, dove i bambini al mattino non aspettano altro che di andare a scuola, la mamma alle 7 di mattina è lì con i capelli appena fatti (il trucco e parrucco funziona sempre), il papà è bello e privo di qualsiasi preoccupazione, ma soprattutto trova subito tutta la biancheria e la camicia che vuole indossare è lì bella pronta e stirata (e noi donne sappiamo quanto di rado accada questo).
Nella famiglia del “Mulino Bianco” non ci sono bollette da pagare, non c’è il mutuo per la casa e nessun attrito nella coppia, i bambini non fanno capricci e non discutono mai … chissà cosa mai ci sarà dentro a questi biscotti.
La realtà artefatta funziona, l’immagine perfetta in cui identificarsi viene subito assorbita dalla memoria storica del consumatore e non importa se è evidente finzione, perché quella proposta è una famiglia alfa.
Grande il brand “Dove” che da qualche anno sceglie donne normali, con qualche chilo in più o in meno, con un fisico non sempre proporzionato, insomma con il corpo di tutte le donne normali che camminano per strada e lavorano.
Qualche dubbio mi sorge riguardo la felice accettazione da parte delle donne delle imperfezioni, dei loro piccoli difetti fisici, ma il messaggio è bello e positivo, quindi approvo … anche se mi piacerebbe conoscere i risultati di vendita nel medio periodo.
Approvo perché l’immagine femminile è reale, quotidiana, non costruita con la chirurgia o il risultato di patologie reali o indotte come l’anoressia.
Basta con donne di plastica o longilinee perché in cattiva salute, spazio ai corpi armoniosamente imperfetti, ma belli in quanto sani.
Che bello … la donna alfa, quella che non si lascia condizionare, che sceglie per piacere a se stessa, che agisce sicura delle sue rughe e si affeziona alla cellulite.
Sino a qui non sto dicendo nulla di nuovo, cose già dette, già scritte, già usate per approvare o demonizzare.
Vediamo di andare oltre, ossia capire perché chi fa “pubblicità” insiste e talvolta persiste nel riproporre la finzione.
Il motivo è semplice: l’elemento alfa.
I consumatori, il pubblico, la gente vuole vedere quell’immagine, o per meglio dire: compera quanto il prodotto è abbinato a quell’immagine.
Dunque, elementi alfa in cui identificarsi e seguire senza pensare, solo basandosi sul traino istintivo dell’io primordiale, niente razionalità, nessuna preoccupazione, solo identificazione, e non importa se in quello che non si è e, probabilmente, non si sarà mai.
Cambiare un trend, ma soprattutto un modo di pensare, di percepire e agire non è facile, di certo impossibile sul breve periodo.
Il mercato risponde al non reale, risponde all’onirica rappresentazione di quello che forse vorrebbe essere, quindi una famiglia in cui si mangiano biscotti senza fare briciole, un corpo da bambola senza emozioni, senza storia, senza vita.
Anche i pubblicitari deve portare a casa la pagnotta, quindi devono fare progetti che funzionano e funzionano quando il mercato reagisce acquistando.
Non voletecene, quindi, se spesso siamo banali, la pubblicità dà al pubblico quello che vuole, quello che accetta, quello che chiede.
Per cambiare è necessario agire alle radici, che sono ben più profonde, a partire dall’educazione di base che ancor oggi vede considerato più bravo il bambino che corre più veloce e “sfigatello” quello solo intelligente, e non importa la sua intelligenza sia geniale, no … perché a correre è più lento.
Cambiare significa lanciare una sfida all’uomo primitivo che agisce dentro la mente di tutti.
L’uomo primitivo funziona, è nel DNA di tutti, la forza e la bellezza emergono.
Forza fisica ed economica, bellezza esteriore e solo esteriore.
Ecco perché funzionano i testimonial, che altro non sono che i maschi alfa del branco.
Un maschio alfa sceglie un prodotto e il branco lo segue… e i pubblicitari si adeguano.
Bello sarebbe iniziare a proporre una comunicazione alternativa, che sfrutti energie vitali pure e non inquinate.
Utile sarebbe che anche l’informazione si adeguasse, non so se qualcuno ha notato, ma quando si parla di crisi economica spesso vengono riportati i dati in percentuale di famiglie che devono rinunciare alle vacanze, forse mi è sfuggito, ma non ho mai sentito parlare delle rinuncia ai controlli medici specialistici, alla riduzione delle lezioni di musica o nuoto per i bambini, ai minori acquisti di libri.
I messaggi pubblicitari non sono altro che lo specchio di quello che la società vorrebbe essere, non di quello che è, ma di quello che sogna, ambisce, persegue e vuole vedere.
Il consumismo spesso demonizzato e additato come male che serpeggia tra usi e costumi, potrebbe (sarebbe bello) diventare il mezzo per iniziare a trasferire concetti di esistenza migliori, più solidi, in cui il tenore di vita non si misura dai cavalli dell’auto, ma anche dai titoli presenti nella libreria di casa.
(fosca bruni – Riproduzione non concessa)